NOTIZIE DAL MALI
LA VOCE DEL CARDINALE DI BAMAKO, MONS. ZERBO
Bamako (Agenzia Fides) - “In mezzo a questa situazione così difficile, a noi religiosi non restano che due comportamenti: essere sentinelle e agire da mediatori per favorire il dialogo e il ritorno alla calma”. Nel caos del Mali, travolto da tensioni politiche post-elettorali, focolai di conflitto aperti in varie aree e annosa questione del jihadismo che continua a essere sempre molto attivo in tutto il Sahel, la voce del Cardinale di Bamako, Mons. Zerbo, nel colloquio con l'Agenzia Fides, spicca per chiarezza e determinazione. Le elezioni del 29 marzo hanno lasciato un Paese in preda a una forte instabilità politica da cui è difficile uscire: il leader delle opposizioni, Soumaïla Cissè, è stato sequestrato due giorni prima ed è ancora nelle mani dei rapitori, mentre la popolazione, molto sospettosa quanto insoddisfatta per le politiche del presidente Ibrahim Boubacar Keita in carica dal 2013, chiede con manifestazioni di massa le sue dimissioni.
Spiega a Fides il Card. Zerbo: “La situazione politica è piuttosto grave. Il problema al momento è capire se indire nuove elezioni o lasciare tutto così e provare a trovare un accordo. Credo che sia fondamentale fare di tutto per far parlare i due gruppi, devono dialogare tra di loro e scongiurare ulteriori disordini. Noi abbiamo costituito un gruppo di leader religiosi, musulmani, cattolici e protestanti, al fine di fare pressioni sul governo e creare le condizioni per il dialogo. Ci incontriamo regolarmente e cerchiamo di parlare direttamente con i protagonisti, facciamo un lavoro costante per evitare di andare alla rottura. Io credo che i religiosi abbiano due compiti principali. Da una parte, come dice Ezechiele, comportarsi da sentinelle, non spie, sentinelle: quando c’è una minaccia dobbiamo avvertire e cercare di risolvere il problema prima che esploda, si tratta di una responsabilità molto grande e se ci sono tanti problemi vuol dire che le sentinelle non hanno lavorato bene. Poi dobbiamo essere intercessori e quando c’è ostilità tra due gruppi, famiglie o persone, mediare nella verità. È poi fondamentale mantenere sempre viva la preghiera per il Paese e per i protagonisti perché Dio converta il cuore. Ora, si può dire, che il cuore di molti è di pietra, sta a noi renderlo di carne. Le religioni da noi non sono divise, ma cercano una linea comune per favorire la pace”.
Nel frattempo tutto il Sahel è in fiamme. L’UNHCR lancia l’allarme per la recrudescenza degli scontri armati e la conseguente ondata di esodi di decine di migliaia di civili che vanno a ingrossare le già grandi fila di profughi interni o esterni. Nell’area di Mopti, al centro del Paese, si sono verificati di recente ulteriori nuovi scontri con la morte di molte persone. L’uccisione, annunciata dalla Francia, di Abdelmalek Droukdal, capo storico dei terroristi in azione nell’area, si spera allenti la martellante avanzata dei gruppi jihadisti, ma la tensione, su vari fronti resta altissima.
Rileva il Cardinale: “Nel nostro Paese è in atto un vero e proprio conflitto. Sarebbe importante capire bene quali interessi ci siano dietro, perché la gente, al di là di contenziosi più o meno gravi, ha sempre cercato di convivere pacificamente e risolvere i problemi in maniera tradizionali, senza ricorrere alle armi. Ora, invece, le armi hanno invaso il Mali. C’è molta confusione e non si capisce bene che tipo di guerra sia in atto. La nostra intenzione è parlare con le parti in conflitto, i miei concittadini hanno vissuto per secoli insieme, non possiamo accettare che ora siano in guerra. Con incontri ripetuti cerchiamo di favorire il dialogo”.
Il numero di profughi, dal 2018, è raddoppiato. Ad oggi sono 210 mila gli sfollati interni, e già 73mila i maliani costretti alla fuga da gennaio a fine maggio di quest’anno. “La popolazione scappa per il conflitto perché, oltre al pericolo delle armi, deve convivere con mercati sempre più vuoti, difficoltà di spostamento. La Chiesa è attiva attraverso la Caritas, noi siamo minoranza e non disponiamo di molto ma quello che abbiamo lo condividiamo. Abbiamo anche chiesto a Caritas Internationalis di venire in nostro soccorso”, conclude il Card. Zerbo.